Quieta non movere: se “condonare” non si può, abbattere si deve
Quieta non movere
di Arcangelo Monaciliuni
Come anticipato dalla stampa (cfr., per tutti, il Corriere della Sera del 30 giugno u.s. che ebbe a titolare “Decreto Semplificazioni, Conte cede. Stralciata norma sul condono edilizio. Il Premier ha provato fino alla fine a difenderla. Ma la tenaglia tra Dem., Leu e Italia Viva ha avuto la meglio”), il Presidente del Consiglio è stato costretto alla marcia indietro, a piegare il capo agli irati moniti di tanta parte della sua stessa maggioranza, niente affatto soddisfatta del suo predicare che non si sarebbe trattato di un condono edilizio.
Nel testo del decreto, finalmente emanato, non si rinviene infatti quella che i censori avevan definita l’ennesima sanatoria, la “norma furba e scandalosa” che prevedeva una punizione degli abusi minori solo con una sanzione pecuniaria e consentiva che l’accertamento di conformità (degli abusi) ex art. 36 del d.P.R 380 del 2001, recante il Testo unico sull’edilizia, venisse effettuato solo rispetto alla pianificazione urbanistica vigente all’oggi e non più anche rispetto a quella dell’epoca di realizzazione dell’abuso. In parole povere, non più necessaria la “doppia conformità” oggi richiesta, si sarebbero salvate dalla demolizione le opere realizzate sine titulo ma oggi conformi alla disciplina per effetto del mutare nel tempo degli strumenti urbanistici.
Non è dubbio che, al di là dei nominalismi, effettivamente le ipotizzate previsioni si ponevano nella lunga scia dei vari tentativi da tempo in corso per “salvare” gli abusi edilizi che han segnato la vita di questa, anche per questo, sciagurata nostra Nazione; tentativi condannati dal giudice delle leggi che li ha qualificati “surrettizi condono edilizio” (Corte Costituzionale, sent. n. 232 del 2017). Per vero, la giurisprudenza della Corte, pur ferma nello stigmatizzare gli effetti nefasti dei condoni, è stata nel tempo molto elaborata ed andrebbe letta tutta e senza pregiudizi.
Ma non è questa la sede e il momento per farlo. Qui ora intendo solo ritornare su di un mio ricorrente ululato alla luna: se “condonare” non si può, se spazio non vi è per “ravvedimenti operosi” et similia, abbattere si deve.
Non è oltre ammissibile, io credo, che si possa lasciare ancora incancrenire il corpo vivo del Paese, tali e tanti sono gli abusi edilizi, i tumori che lo ricoprono, molti dei quali ben visibili, molti dei quali scheletri mostruosi che sono un pugno nell’occhio, lì da decenni e decenni a testimonianza visiva di una illegalità diffusa, troppo, da troppo tempo e da troppi tollerata.
Se è vero, fuor da ipocrisie, che la stratificazione tumorale, interi quartieri di grandi città sono abusivi, investe tanta parte del Paese da rendere difficile demolire, ancora vero che esistono misure semplici per poter porre freno al fenomeno per il futuro ed utili anche per abbattere oggi quel che va abbattuto.
E se queste misure, da anni, da lustri, da decenni, non sono poste in essere, non sono nemmeno entrate a far parte del dibattito politico/istituzionale, beh vi è molto da riflettere, volgendo anche la mente ai versetti del Vangelo sugli scribi ed i farisei che “seggono sulla cattedra di Mosè”, ma “dicono e non fanno” (cfr. Matteo 23/1/27/28).
Senza oltre commentare, riproduco talune delle mie risalenti proposte:
Modifica dell’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come già detto recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, e degli artt. 160 e 167 del d.l.vo n. 42 del 2004, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio, nella parte in cui non assegnano, rispettivamente ai Comuni ed alle Autorità preposte alla tutela dei vincoli, termini perentori per accertare l’inottemperanza all’ordine di demolizione impartito dai primi e di reintegrazione o remissione in pristino impartito dalle seconde (In tal modo, munendo la previsione di adeguata sanzione in caso di sua violazione, non sarebbero più possibili arresti/rallentamenti vistosi del procedimento demolitorio).
1a) Introduzione di una previsione che -senza sottrarre ai Comuni la “possibilità di procedere direttamente all’esecuzione della demolizione delle opere abusive”, come imposto dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 196 del 2004, e senza sottrarre alle Regioni l’esercizio del potere sostitutivo- (ri)assegni ai Prefetti la potestà di agire in via di sostituzione ultima, quanto meno nelle aree assoggettate a regimi vincolistici di competenza dello Stato, procedendo alle demolizioni non altrimenti eseguite ed avvalendosi, per farvi fronte, solo delle strutture tecnico-operative del Ministero della Difesa e con oneri a carico dello Stato, fatti salvi, si intende, i recuperi dovuti a carico dei responsabili. (In tal modo, sarà lo Stato a demolire, così alleviando le “difficoltà” degli amministratori locali, talune indubbiamente oggettive e tal altre legate al rapporto con i cittadini, che restano elettori).
1b) Obbligo, esteso a tutti i soggetti pubblici chiamati ad eseguire demolizioni, di avvalersi per le operazioni materiali esclusivamente delle strutture operative del Ministero della Difesa, sempre con oneri a carico dello Stato e sempre salvo recuperi. (Il procedimento sarà molto più semplice, non dovendosi più affidare le operazioni a ditte private, con il seguito di relativo contenzioso sotto più profili con conseguente arresto del procedimento).
1c) Nell’ovvio rispetto della separazione dei Poteri, individuazione di strumentari più snelli per rendere efficace la fase “amministrativa” dell’esecuzione del giudicato penale in tema di demolizioni curata dalle Procure, anche generali, della Repubblica.
2) Modifica dell’art. 48 del cennato d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 nella parte in cui, dopo aver “… vietato a tutte le aziende erogatrici di servizi pubblici di somministrare le loro forniture per l’esecuzione di opere prive di permesso di costruire“ consente le somministrazioni (gli allacciamenti di luce, acqua, gas, telefono, etc.) anche in presenza della sola “domanda di permesso in sanatoria”. Ed invero, se pur ovvio, oltre che sancito per legge, che non si possa procedere alle demolizioni, nelle more della definizione delle richieste di condono e/o di accertamento di conformità, non rinvengo invece ragione -giuridica, si intende- che, in disparte il profilo della loro commerciabilità, imponga di consentire l’utilizzo/fruibilità delle nuove costruzioni abusive.
2a) Modifica dello stesso art. 48 anche con più stringenti previsioni atte ad evitare elusione del commentato divieto, di cui deve ritenersi si faccio grande uso (abuso) in quanto notorio che nel mentre non tutte le costruzioni abusive vengono raggiunte da ordini di demolizione, a fronte dei quali soltanto in genere si chiede la “sanatoria”, tutte invece, più o meno, riescono ad ottenere gli allacciamenti pur non potendo esibire alle Aziende erogatrici i titoli edilizi/paesaggistici (validi).
3) individuazione di possibili percorsi procedimentali/processuali atti a consentire/imporre che si pervenga a risarcire le comunità locali del danno ingiusto subito a causa di realizzazioni edilizie contra legem.
A queste mie risalenti proposte va aggiunta la necessità -io credo oggi resa ineludibile dalla ultima pronuncia resa in tema dalle Sezioni Unite della Cassazione, n. 8230 del 2019- di verifica della eventuale praticabilità di un intervento normativo che prenda posizione espressa sulla vexata quaestio della “nullità formale”/”nullità sostanziale”, oggetto nel tempo di diversificati orientamenti della giurisprudenza (ancora) in tema di commerciabilità degli immobili abusivi.
Beh, non mi resta che chiudere -ahimè, ahinoi- con un arrivederci alla prossima puntata, allorquando, senza che alcuna misura immagino sarà stata ancora presa, nuove morti legate alla permanenza di case abusive su argini dei fiumi et similia o rinnovati tentativi di “sanatoria” mascherata, non daranno la stura al consueto, immutabile, scenario, “ai rituali sempiterni e sempre eguali a sé stessi, alle lacrime, alle ondate di sdegno”…. (tale l’incipit del mio scritto “Il territorio ed i suoi mancati custodi” nel novembre del 2018, allorquando la piena dell’irato fiume Milicia travolse la villetta abusiva a Casteldaccia).